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Immagine del redattoreLuca Riolfo

Nel cuore di Genova: I Rolli Days - I parte -


E’ una bellissima giornata di sole a Genova e nonostante le temperature siano ancora piuttosto basse ne approfittiamo per visitare quei palazzi dei Rolli che ancora ci mancano all’appello.

Per chi non ci avesse mai letto o non avesse seguito i nostri consigli sulla visita degli splendidi palazzi genovesi, facciamo un breve riassunto su cosa siano i Rolli.

Torniamo al tempo in cui Genova era una delle più importanti Repubbliche marinare e come tale vedeva il passaggio di molti personaggi illustri.

C’era quindi necessità di ospitare queste personalità di spicco e le famiglie nobili del tempo non si fecero sfuggire l’occasione. Considerate le enormi ricchezze accumulate con le loro proficue attività, alcune famiglie si lanciarono nella costruzione e soprattutto all’abbellimento di palazzi sempre più elaborati, sempre più maestosi e chiaramente sempre più alla moda.

Nell’ottica di ottenere un “accatastamento” basato sull’importanza della stirpe e sulla bellezza del palazzo, vennero redatti degli elenchi su pergamena, i Rolli, appunto. Da questi elenchi, a secondo dell’importanza del personaggio in visita, veniva estratto il palazzo che l’avrebbe ospitato.

Per la famiglia rappresentava certo un onore e un’occasione poter interloquire con  l’ospite, ma non di meno anche un onere.

Vista la numerosità dei palazzi iscritti (42 facenti parte del patrimonio dell’Unesco dal 2006, ma 73 in tutto) noi ve li proponiamo suddivisi un po’ a seconda del nostro gusto personale ma sempre in modo che possiate, passando da un palazzo all’altro, godere delle innumerevoli chicche che Genova cela all’interno dei suoi vicoli.

Arriviamo decisamente in largo anticipo rispetto agli orari delle varie prenotazioni che abbiamo effettuato in occasione dei “Rolli Days” invernali e decidiamo quindi di iniziare la nostra giornata sulle alture della città, nella zona più a nord del Municipio Centro Est, ovvero quella che si estende da Corso Carbonara sino a via Carlo Pastorino, ai limiti dei giardini Maestri del Lavoro.

In realtà iniziamo proprio da questo punto sommitale della città per ben due motivi molto importanti: 

motivo numero 1 - la vicinanza all’Albergo dei Poveri, del quale abbiamo la visita prenotata nel tardo pomeriggio;

motivo numero 2 - la vicinanza alla fermata Carbonara facente parte della rete funicolare “Zecca-Righi” che volevamo già da un po’ di tempo utilizzare come mezzo alternativo per scoprire Genova.

Sicuramente raggiungere le nostre mete a piedi, senza dover attendere il mezzo pubblico è la scelta più veloce ma la bellezza di muoversi in città in questo modo è davvero impagabile, pertanto ci dirigiamo immediatamente alla fermata denominata Carbonara e attendiamo il nostro mezzo. Per arrivare ai binari bisogna percorrere una scalinata ma, in alternativa, vi è anche la possibilità di utilizzare un ascensore pubblico.

Il percorso è molto breve, il nostro capolinea infatti si trova proprio alla fermata successiva: Largo della Zecca. La storia dello slargo prende origine dall’ubicazione della sede della zecca della Repubblica di Genova, che ivi si trasferì nel 1842, abbandonando la sua storica sede di piazza Caricamento, la quale venne demolita per ampliare la nuova piazza. Con l'apertura delle "Strade Nuove", Largo della Zecca venne a trovarsi al margine del percorso viario formato dalla "Strada Nuovissima" (oggi via Cairoli), da via Bensa e da via Balbi, divenendo snodo principale del cuore cittadino.


Palazzo Giacomo Lomellini

Il primo edificio che visiteremo si trova in una zona molto trafficata della città, proprio dietro l'angolo di via Bensa. Il Palazzo Lomellini è inserito nel contesto di rinnovamento residenziale di Genova tra il 1530 e il 1630. La particolarità del palazzo è la sua pianta irregolare, pentagonale, ottenuta unendo due palazzi preesistenti. 

Dai documenti storici, si presume che la facciata fosse originariamente realizzata in stucco e affresco, mentre il bugnato del piano terra era previsto in pietra e non dipinto.

La struttura organizzativa del Palazzo Lomellini era simile a quella di altri edifici dell'epoca. 

Al piano superiore, raggiungibile attraverso una grande scalinata, si trovava la loggia, che fungeva da distributore di spazi e ambienti e si apriva sul cortile. Il salone di rappresentanza era il fulcro del palazzo, situato sopra l'atrio e circondato da altre camere e sale disposte secondo un criterio di simmetria, come anche il secondo piano nobile. I mezzanini e le soffitte erano destinati ai servizi e contenevano le camere da letto, cucine e dispense.Una delle caratteristiche principali del palazzo consiste nell'essere dotato di un pozzo privato che lo rende autonomo dal punto di vista idrico. All'interno è possibile ammirare un ciclo di affreschi di Domenico Fiasella che raffigurano le "Storie di Ester".

La scelta di questo particolare tema costituisce un tributo alla storia della salvatrice del popolo ebreo. La scena raffigurata si svolge in Persia, quando il re Assuero convoca le più belle ragazze di Susa per scegliere la sua seconda moglie. 

Ester viene scelta e, nonostante sia ebrea, non rivela la sua vera identità. Quando scopre una congiura ordita dal primo ministro contro il suo popolo, Ester riesce a convincere il re a intervenire per salvarli. Per completare il ciclo degli affreschi, Domenico Fiasella è stato coadiuvato dal Carlone. Probabilmente, il Fiasella si è ispirato a strutture e pose pittoriche di altre allegorie più celebri, considerando anche la profonda allusione politica che il committente ha voluto esprimere scegliendo le "Storie di Ester" tra i temi biblici. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il palazzo ha subito alcuni danni a causa dei bombardamenti che hanno lesionato alcuni degli affreschi del Fiasella il 29 aprile e il 2 agosto del 1944, successivamente restaurati.

La residenza del doge

Questo edificio non si trovava inizialmente nel cuore della città ma con la costruzione di Strada Nuova e dei palazzi dei Rolli che vi si affacciavano, divenne centrale rispetto agli edifici che invece sorgevano su Via Balbi.

Palazzo Lomellini fu voluto dal Doge Giacomo Lomellini accorpando due unità edilizie già esistenti, una delle quali nel 1588 era stata inserita tra le dimore dei Rolli. Fu per due secoli la residenza privata di famiglia. Nel secolo XIX divenne residenza della famiglia Patrone ma nel 1897 l’edificio fu ceduto dall’ultimo proprietario, Fausto Patrone, al Municipio di Genova. Un acquisto necessario per poter effettuare l'allargamento del passaggio tra Largo Zecca e Piazza della Nunziata allo scopo di installarvi i binari del tram. L'edificio fu quindi parzialmente demolito eliminando ad ogni piano un salotto e il gabinetto attiguo. I due salotti che dovevano subire la mutilazione erano affrescati, quindi la Giunta deliberò di staccare e conservare i dipinti che, collocati entro apposite armature, vennero trasportati nel Museo di Palazzo Bianco. I nuovi uffici comunali ebbero sede a Palazzo Lomellini fino al 1928, data in cui l'edificio venne destinato alla Federazione Provinciale Genovese dei Fasci. Dal 1945 Palazzo Lomellini è sede del Comando Militare dell'Esercito Italiano in Liguria.

Giacomo Lomellini ebbe una carriera politica davvero veloce. A soli 25 anni divenne commissario della fortezza del Priamar di Savona e poco dopo essere stato eletto senatore della Repubblica di Genova divenne Doge. Dovette combattere contro il Ducato di Savoia e dopo la fine del suo mandato sventò la congiura per rovesciare la Repubblica in favore dei Savoia. 



Usciti dal primo appuntamento della giornata imbocchiamo via Egidio Lomellini, con l’intento di perderci volutamente nei carruggi, rendendo ancora più caratteristica e magica la nostra esperienza: di certo qui le botteghe curiose non mancano.

Ma a proposito di magia, dopo nemmeno 20 metri di percorrenza, sulla nostra sinistra ad attirare la nostra attenzione è di sicuro l’insegna riportante la scritta “L’Alicorno Magico”, bottega premiata tra le eccellenze di Genova. . . ma cosa vende? Oggetti magici chiaramente!

Senza pensarci nemmeno un momento sono già all’interno del negozio seguita da Luca che sospira, scoprendo che non si tratta di un solo e semplice negozio; al suo interno è ospitata la prima e più longeva scuola di magia in Italia.

Si propongono corsi di magia, stregoneria, arti divinatorie, laboratori e una vasta biblioteca di testi magici riservati alla consultazione per i soli soci.

La signora che gestisce il negozio ci informa che l’accademia nacque all’inizio degli anni 90 ed esperienza dopo esperienza, confronto dopo confronto, la struttura delle materie e l’affinamento dello schema degli insegnamenti permise di integrare corsi sulla storia della magia, gli strumenti magici, uso e costruzione, amuleti e talismani, piccolo popolo, arti divinatorie, incantesimi e sortilegi. Trovate maggiori informazioni sul  loro sito web www.accademiadelleartimagiche.com.

Ma a Luca, che di questo tipo di arte non importa nulla, è già con un piede sulla soglia con l’intento di osteggiare il profano facendo visita alla maestosa chiesa che è situata proprio qui davanti.

Preso un simpatico talismano dal primo distributore automatico di amuleti al mondo, mi tocca incalzare il fanciullo che è già andato oltre, verso il sagrato della chiesa intitolata a San Filippo Neri, eretta per volere del nobile genovese Camillo Pallavicini.

La Chiesa di per se’ rappresenta un'importantissima testimonianza dell'architettura tardo-barocca genovese risalente al XVII secolo, quasi unica per stile e fattezze. La sua costruzione iniziò nel 1674 su progetto di Pietro Antonio Corradi, che abbiamo già visto occuparsi di Palazzo Rosso pochi anni prima, e venne completamente ultimata nel 1712. La facciata disadorna e grigiastra disincentiva l’ingresso al sito ma, una volta varcato il grande portone d’ingresso, si resta certamente attoniti al cospetto della volta sagomata a botte, decorata dal quadraturista Antonio Haffner ed impreziosita con l’apoteosi di San Filippo Neri dipinta da Marcantonio Franceschini.

Facciamo menzione al fatto che per costruire questa chiesa fu demolito un palazzo di proprietà degli Adorno, dove visse con il marito Giuliano quella che poi salì alla gloria degli altari con il nome di Santa Caterina da Genova.

L’elemento artistico di principale rilievo però, lo si trova all’interno dell’adiacente oratorio, che visitiamo con un mini tour guidato gestito da volontari e che ci porta al cospetto dell’Immacolata di Pierre Puget.

La statua, che rappresenta la creazione più importante nell'intera carriera dell'artista francese, venne realizzata intorno al 1670 come ornamento privato della cappella di Palazzo Stefano Lomellini. 

La scultura, che doveva rappresentare il pezzo forte di uno dei Palazzi dei Rolli più prestigiosi della città, nel corso del Settecento venne donata alla congregazione dei Filippini che la inserirono nel contesto dell’oratorio appena inaugurato, dove tutt’oggi è possibile ammirarla in tutto il suo splendore.

Uscendo dalla chiesa, dirigendoci verso il nostro prossimo appuntamento, incastrata su di un lato della facciata, notiamo una singolare targa con sopra incisa la scritta: “Il 26 maggio 1794 Niccolò Paganini si esibisce per la prima volta come solista della Chiesa di San Filippo Neri“. E' proprio vero che il bello di Genova si cela nei piccoli dettagli e nelle chicche nascoste qua e la nei vicoli; dovete infatti sapere che proprio qui, a soli 11 anni d'età, il celebre violinista genovese si esibì per la prima volta come solista riscuotendo una delle prime ovazioni del pubblico.

Svoltando su via Salita dell’Oro ci innestiamo poi su via Cairoli fino a raggiungere Piazza della Meridiana, dove, imboccando la scalinata di Salita San Francesco, raggiungiamo l’ingresso del Palazzo Gerolamo Grimaldi, più comunemente conosciuto come Palazzo della Meridiana, dove inizierà la visita guidata che abbiamo prenotato.

Palazzo Gerolamo Grimaldi

Edificato per volere del banchiere genovese Gerolamo Oliva Grimaldi tra il 1536 ed il 1544 in una zona collinare all'epoca ancora poco urbanizzata, questo edificio disponeva del suo ingresso principale proprio sulla salita che porta ancora oggi il nome di San Francesco e che deriva dall’antica Chiesa di San Francesco di Castelletto, demolita verso l’inizio del XIX secolo.

L'ubicazione periferica era consueta per gli ordini conventuali, a Genova come in altre città, poiché era tra le poche a poter disporre di spazi liberi ove erigere chiese e conventi di notevoli dimensioni.

Per lo stesso motivo, sui prospetti laterali del palazzo, versante mare e versante monte, si trovavano le aree esterne dedicate ai giardini.

Come abbiamo visto in altri casi, l'apertura di Strada Nuovissima rivoluzionò non solo l’assetto della viabilità di Genova, ma obbligò molte famiglie a riconvertire e ripensare alcuni spazi dei loro sontuosi palazzi per dotarli di maggior prestigio e per restare al passo con i tempi. 

Palazzo Gerolamo Grimaldi perse in quella sede i giardini inferiori, dovendo rivedere completamente la facciata sud, aggiungendo di fatto un avancorpo coperto impreziosito da una meridiana dipinta in facciata. Sarà proprio da quella miglioria che il palazzo assumerà l’appellativo "della Meridiana". 

Alla morte di Gerolamo Grimaldi, il palazzo passò al suo unico figlio Battista, che completò la decorazione interna.

Dall’Ottocento in poi il palazzo cominciò a passare di mano in mano dai Grimaldi ai Serra di Cassano, agli Odero, ai De Mari e fino ai Mongiardino. Infine, agli inizi del 1900, fu affittato alla Società di Assicurazioni Mackenzie, che commissionò a Gino Coppedé la ristrutturazione degli interni. Grazie alla collaborazione con il pittore e architetto Nicola Mascialino, Coppedé installò l’ampio lucernario a copertura del cortile, di grande impatto scenico, decorato con diversi stili. Nella medesima sala possiamo ammirare i vari affreschi incastonati tra le volte del colonnato. Anche la volta dello scalone che porta ai piani superiori è riccamente decorata. Al piano superiore troviamo una serie di stanze con pavimenti in veneziano impreziositi da frammenti di corallo; noi ci soffermeremo nel Salone del Camino, il cui soffitto è occupato interamente da un affresco a tema mitologico: "Ulisse saetta i Proci con l'aiuto di Minerva e di Telemaco". L’affresco attribuito a Luca Cambiaso celebra il potere e la ricchezza della famiglia nobiliare. Tra le figure che fanno da cornice alla scena centrale, troviamo il ritratto di Gerolamo Grimaldi nei panni di Numa Pompilio, re romano ricordato per le sue grandi riforme ed apportatore di pace e benessere, in posizione opposta al quale siede Carlo V, a simboleggiare la protezione del re spagnolo sul casato Grimaldi. Luca Cambiaso, per primo in Genova, cercò di imprimere alle sue figure un movimento dinamico, realizzando giochi di prospettica grazie alla luce. In questa stessa sala si trova, poi, un camino monumentale cinquecentesco nei cui decori sono inseriti lo stemma e le armi del casato. La storia dell’edificio però non finisce qui, nell’ultimo secolo è stato adibito ai più disparati usi: sede di una Compagnia di navigazione, asilo, scuola, uffici comunali e anche ospedale militare durante la prima guerra mondiale.

Palazzo della Meridiana

Un'interessante curiosità romanzata è legata all'edificio situato di fronte a Palazzo della Meridiana: Palazzo Gio’ Carlo Brignole. In passato, i giardini di quest'ultimo occupavano la posizione attuale di Piazza della Meridiana. 

La famiglia Brignole fu talmente entusiasta di avere i Grimaldi come nuovi vicini e di perdere parte della vista sulla zona di Castelletto che impose un ferreo divieto: nessuna finestra poteva essere costruita sul lato della Piazza. 

Per evitare una possibile guerra diplomatica, i Grimaldi rispettarono la richiesta dei Brignole, ma escogitarono una subdola vendetta. La facciata del loro palazzo venne così decorata con una sontuosa meridiana, ancora visibile oggi, impreziosita dalla presenza di un paio di angioletti intenti a mostrare il loro roseo didietro. In questo modo, ogni volta che i Brignole cercavano di guardare fuori dalla finestra si ritrovarono non solo con un muro alto che ostruiva la vista, ma anche con il posteriore di quei due impertinenti putti.

Nel 2004, la società Palazzo Meridiana srl (Gruppo Viziano) ha acquistato l'edificio, finanziandone un restauro conservativo integrale e filologico. In questo modo, l'ambiente spettacolare è stato riaperto con una nuova e moderna logica, che combina la funzione museale con quella di location per eventi, ricevimenti, residenze e attività commerciali. La prima parziale riapertura del palazzo si è svolta nel 2010, in occasione delle giornate FAI. Inoltre, dal luglio 2011, il Palazzo ha ospitato mostre, come la sezione della Regione Liguria della Biennale di Venezia, per celebrare i 150 anni dell'unità d'Italia.



"Nella Strada Nuova, un po' più larga delle altre, ci sono i palazzi più belli. È alquanto difficile visitarli: sono quasi sempre vuoti, e, quando il padrone esce o va in campagna, porta la chiave in tasca".


Uscendo dalla sala del camino, presso l’atrio, è possibile osservare esposte alcune repliche dei disegni relativi ai palazzi di Genova per mano dell’artista fiammingo Rubens. Nell'estate del 1607, il Duca Vincenzo Gonzaga si recò in visita a Genova come ospite dei Grimaldi Oliva presso la loro villa di Sampierdarena, conosciuta con l’appellativo di “Villa La Fortezza” a causa della sua massiccia e severa struttura monumentale. Bisogna sapere che la sistemazione dei personaggi di spicco e dei loro accompagnatori all'interno dei palazzi privati genovesi era regolata da un preciso cerimoniale, che nel tempo ha subito diverse trasformazioni.

Come abbiamo già visto in precedenza, la classificazione dei palazzi era suddivisa in "bussoli" che riportavano lo status della famiglia ospitante e che si basavano sulla grandezza e sontuosità dell'edificio, il prestigio dell'ospite e l'importanza sociale ed economica del proprietario del palazzo.

Con il tempo, i palazzi potevano salire o scendere di livello a seconda di diversi fattori, come le frequenti difficoltà economiche delle famiglie o le ristrutturazioni e migliorie apportate agli edifici stessi. In seguito questi elementi si sono poi rilevati fondamentali per ricostruire le liste dei palazzi contenuti nei bussoli e per comprendere maggiormente alcune vicissitudini legate alle principali famiglie genovesi. Alcune di queste sono anche riuscite a resistere alle difficoltà economiche occorse nei secoli ed i palazzi da loro costruiti portano ancora oggi il loro nome, come ad esempio quello dei Grimaldi. Avere l’opportunità di ospitare a palazzo un Gonzaga fu un onore non di poco conto per il tempo, questo va certamente detto, ma se al seguito c’era anche l’artista Pietro Paolo Rubens, il prestigio era assicurato. Accompagnare il Duca in quel viaggio diede modo all’artista fiammingo di potersi ritagliare del tempo per apprezzare meglio quei palazzi e quelle ville della città che aveva già potuto ammirare durante alcuni soggiorni precedenti. 

Fu proprio durante quell’occasione che Rubens decise di creare dei bozzetti che potessero rappresentare al meglio le peculiarità delle dimore genovesi, e che raccolse poi in un secondo momento in un libro edito nel 1622, intitolato "Palazzi antichi di Genova". L'opera, pubblicata in due volumi, conteneva 72 disegni di piante di edifici e 67 disegni di facciate di palazzi, tra cui nove chiese.

Nello sviluppo dell’opera l’autore rimase colpito non solo dalla magnificenza e dalla raffinatezza delle collezioni d'arte dei palazzi dell'aristocrazia genovese, ma anche e soprattutto dall'organizzazione dei loro spazi e dei servizi.

Finisce così la nostra visita a Palazzo della Meridiana, fornendoci preziosi spunti di riflessione su come il sapiente utilizzo delle regole dell’architettura abbia saputo generare tali magnificenze in campo artistico e ci prepariamo ancora più gasati di prima ad affrontare la prossima tappa del nostro tour. Ridiscesi i gradini di via San Francesco, svoltiamo a sinistra e ci incamminiamo in quella che per Genova fu la rinascimentale via Aurea, attualmente dedicata a Giuseppe Garibaldi.

La Strada Nuova di Genova è stata ufficialmente fondata il 17 marzo 1550, quando i governanti della Repubblica identificarono nell'allora area semi periferica nella quale ci troviamo adesso, il luogo in cui poter costruire "molti edifici bellissimi”.

Costruiti principalmente tra il 1558 e il 1588, i palazzi della Strada Nuova di Genova sono stati apprezzati fin dall'inizio. Giorgio Vasari, solo dieci anni dopo l'inizio dei primi cantieri, affermava che "molti sostengono che in nessun'altra città d'Italia esiste una strada così magnifica e grande, né così piena di palazzi ricchi...". Come abbiamo visto per Palazzo Gerolamo Grimaldi, le facciate e le strutture degli edifici hanno subito alcuni cambiamenti nel corso del tempo, adattandosi alla modernità dettata dallo sviluppo di nuove tecniche di costruzione, con impiego non solo di diversi materiali ma anche di colori e sfumature. Oltrepassando il trittico museale di Palazzo Rosso, Bianco e Tursi già da noi raccontati in un numero precedente, ci infiliamo nell’atrio di Palazzo Podestà.

Palazzo Nicolosio Lomellino

L’anima degli spazi esterni

Iscritto fin da subito nel primo bussolo del Rollo del 1576, degno quindi, per la sua ricchezza e magnificenza, di ospitare papi, re e imperatori, palazzo Podestà (questo è il nome con il quale è ulteriormente conosciuto), fu definito dallo stesso Rubens quale modello principe della residenzialità genovese.

Costruito tra il 1563 e il 1569 da Nicolosio Lomellino, nel corso dei secoli, il palazzo subì vari passaggi di proprietà che contribuirono a definirne la singolare architettura impreziosita dalle decorazioni che ancora oggi lo distinguono da ogni altro palazzo del circondario. 

Facendo particolar riferimento all’androne interno e al successivo ninfeo, possiamo vedere come questi elementi si impongano come corpo architettonico centrale della residenza, denotando come la fase di aggiornamento organizzata dai Pallavicini abbia saputo valorizzarne gli spazi esterni.

All'ampliamento del cortile del piano terra e alla sua connessione con i giardini a monte lavorò il poliedrico Domenico Parodi. 

Grazie al suo operato i giardini vennero organizzati secondo i dislivelli della collina del Castelletto, conformandoli al terreno e aggiornandoli secondo il nuovo gusto moderno. La grande pergola presente nel giardino del secondo piano è indicata nei documenti rinvenuti con il termine arabo di "cubba", che ricorda sommariamente la più famosa presente nel giardino di Palazzo del Principe. In alcune tavole d'archivio, inoltre, si può risalire alla presenza di una grande voliera detta "dei pavoni", restaurata nel 1791 ma oggi quasi completamente perduta.


Varcato l'incantevole atrio del palazzo Nicolosio Lomellino di Via Garibaldi n. 7 si accede al cortile dominato da un imponente ninfeo frutto dell'ingegno del genovese Domenico Parodi.

Il ninfeo si alimenta dalla caduta delle acque provenienti dalla cisterna posta sulla collina del Castelletto.

L'alto monumento si estende in modo da creare un collegamento tra il palazzo ed i giardini sovrastanti, offrendo uno spettacolo unico e mozzafiato. Tra l'edificio e la collina retrostante, troviamo due differenti ninfei che, sebbene distinti, si fondono armoniosamente tra loro. Oltre a quello che troviamo nel cortile d’ingresso, l'altro è stato concepito sul terrazzo sommitale. La volta del ninfeo più grande è sorretta da due giganteschi tritoni, mentre un putto centrale versa l'acqua attraverso un’anfora. Questi elementi incorniciavano una scena ispirata al mito di Fetonte, sfortunatamente perduta per via del deterioramento causato probabilmente dall’erosione dell'acqua. Il giardino di questo palazzo ha origini antiche e si sviluppa in costa su diversi livelli, scalando in verticale il fianco della collina. 

Nel corso del Settecento, insieme al Palazzo, il giardino subì una sostanziale modifica al piano del cortile e al primo terrazzamento. 

Il primo livello del giardino fu oggetto di un ampliamento in funzione scenografica, ottenuto sbancando e arretrando il muraglione di contenimento originario. 

Le planimetrie di Rubens e quelle successive redatte dall’architetto francese Martin-Pierre Gauthier, reperibili facilmente online, mostrano con chiarezza questo cambiamento.

Le statue che dominano il giardino dall'alto del muraglione del secondo livello sono cinque, e rappresentano figure femminili e maschili intente a suonare cornamuse, flauti e strumenti musicali. Il muraglione di contenimento del secondo livello è invece occupato al centro da un nicchione in pietra del Finale dove un’enorme statua raffigurante Sileno, lo spirito della danza e della spremitura dell'uva, è intenta a versare il vino nella bocca del dio Bacco. Sul fianco a ponente si apre una grotta, con stalattiti e conchiglie artificiali, dove tenta di rifugiarsi un cinghiale cacciato da Adone. Particolare e suggestivo il pergolato settecentesco in ferro, il cui percorso è scandito da diversi busti in pietra e alcune installazioni d’arte moderna. Il centro del parterre è caratterizzato da una vasca circolare in marmo bianco con un piccolo Ercole in lotta con un serpente. La scena si completa a monte, dove si erge un'alta torre che ricorda un minareto, progettata nel 1500 ma elevata nel XVIII per poter godere d’ un panorama eccezionale ed allo stesso modo poter controllare le navi che sbarcavano in porto.



Come potete vedere, attraversare i numerosi portoni di Genova ci permette di accedere a mondi meravigliosi e unici, ognuno con la propria storia e fascino. Questa edizione invernale dei Rolli, distribuita su tre giornate, non ci ha permesso di visitare tutto il visitabile, ma la bellezza di queste iniziative sta proprio nella possibilità di personalizzare il tour in base al tempo e ai gusti personali, rendendo l'esperienza davvero unica e quasi irripetibile. D’altronde noi siamo esperti in questo! 

Cerchiamo di cogliere ogni spunto ed attimo che si presenta davanti a noi ed il caso del Rollo sito ad un paio di civici accanto a Palazzo Lomellino ne è un esempio. 

Non essendo riusciti a prenotare la visita a Palazzo Lercari Parodi, abbiamo ascoltato ciò che il divulgatore scientifico si stava cimentando a raccontare ad un gruppo di visitatori in attesa di compiere il tour al suo interno. 

Fortunatamente il tour del Palazzo inizia proprio all'esterno, vicino al sontuoso portale, dandoci la ghiotta occasione, quantomeno, di apprendere una storia davvero curiosa.

Sul portale del palazzo intitolato a Franco Lercari, costruito tra il 1571 ed il 1578 all'inizio di Strada Nuova, saltano subito all’occhio attento dell’osservatore due telamoni con un insolito naso mozzato. Questo dettaglio non è casuale: lo scultore Taddeo Carlone ha voluto richiamare la leggenda di Megollo, un antenato del facoltoso banchiere, che occupò anche la carica di governatore della Repubblica di Genova nel corso degli anni settanta del Cinquecento.

Domenico Lercari, detto Domenegollo, da cui deriva il diminutivo Megollo, fu una figura leggendaria risalente ai primi del Trecento, con una vita segnata da storie da mille e una notte. Sebbene la sua biografia sia quasi del tutto sconosciuta, il "Gran Megollo" è considerato un simbolo dell'indipendenza genovese, tanto che nel corso dei secoli gli sono state dedicate numerose opere d'arte sparse per la città. Di nobile discendenza, come del resto lo sarà poi tutta la sua stirpe, la sua storia è stata raccontata in modo oscuro solo alla fine del Quattrocento da Bartolomeo Senarega di Genova, in una lettera indirizzata all'umanista Giovanni Pontano. Divenuto mercante e pirata a Pera, un emporio genovese sul Bosforo, e a Trebisonda, un altro importante snodo commerciale sul Mar Nero, Megollo conquistò la fiducia dell'imperatore bizantino Alessio II dopo essersi stabilito a Trebisonda. Non si sa come Megollo riuscì ad ottenere i favori imperiali per garantire alla Repubblica esclusività sui traffici commerciali verso la Persia e l’Armenia; tuttavia i rapporti tra i due presero una svolta nefasta a seguito di una partita a scacchi. Si racconta che durante quella partita, avvenuta tra il designato dell’imperatore, tale Andronico, ed il Lercari, quest’ultimo fu vittima di pesanti scherni ed umiliazioni. 

Tornato a Genova e armatosi pesantemente, si fa notizia che Megollo fece ritorno sul Mar Nero pronto a vendicarsi delle offese subite. La vendetta fu spietata: seguendo una pratica tipica bizantina, i nasi e le orecchie dei vinti vennero mozzati e conservati in salamoia in dei barili, per poi essere inviati all’Imperatore. Spaventato da questi macabri doni, Alessio II concesse a Megollo di rifilare un umiliante calcio nel sedere ad Andronico e gli concesse la costruzione di un magazzino di merci (che gli antichi mercanti chiamavano fondaco), ottenendo ampi privilegi e ampi margini di guadagno.

Ed ecco cosa è capace di evocare un semplice dettaglio di una statua che non tutti hanno occasione di notare al primo sguardo. Noi stessi non ne avremmo mai colto notizia se non avessimo scorto quel gruppo di persone intente a guardare per aria il volto dei due Talamoni.

E di gente in giro in queste giornate ne troviamo davvero tantissima, segno che l’asset messo in atto per promuovere l’evento ha funzionato davvero molto bene.

Presso gli uffici del turismo è possibile anche reperire mappe, brochure e altre informazioni che riguardano eventi collaterali e non convenzionali rispetto ai soliti tour.

C'è infatti una sottile connessione che unisce i sontuosi palazzi e le maestose chiese, tra spazi privati riservati a pochi e luoghi pubblici facilmente accessibili ad ogni ceto sociale. Da un lato i magnifici saloni dei Palazzi dei Rolli riservati alla nobiltà e, dall’altro, le imponenti navate delle chiese aperte alle classi più povere, capaci di stregare chiunque. In più di un’occasione pittori, scultori e committenti fanno capo alle stesse persone, incaricati di narrare storie, miti e allegorie, sacre o profane che siano.

Palazzo Pantaleo Spinola Gambaro

Quale connubio migliore tra sacro e profano potevamo trovare se non quello di portarvi ora dentro Palazzo Pantaleo Spinola Gambaro?

Proprio così amici, questo Palazzo, il primo che si incrocia in via Garibaldi lato mare per capirci, è oggi sede del Banco di Chiavari e della Riviera Ligure.

Essendo questo un luogo frequentato da numerosi clienti della banca, veniamo accolti nell’ingresso dell’atrio alle 10:30 in punto, orario della visita, così da non occupare per troppo tempo le zone comuni.

Al piano terreno è singolare lo scalone monumentale che presenta, nella parte ad Est, una prospettiva speculare a quella opposta con la sola differenza che oltre al portone sommitale, non vi è nulla.

Quest’opera architettonica fu introdotta per la prima volta all’epoca per armonizzare lo stile e conferire simmetria alla stanza. La visita vera e propria però inizia al primo piano, che raggiungiamo per mezzo della scalinata di destra. Il piano nobile si compone di due sale a ovest, del salone centrale e di quattro salotti ad est. 

Il primo di questi, raggiungibile direttamente dalla loggia dove si trova la scala, si trova nell'angolo nord-est dell'edificio e presenta una volta a padiglione con un dipinto centrale raffigurante l'Assedio ad una città fortificata, opera dei fratelli Semino. 

Tuttavia, sono i cicli di affreschi di Domenico Piola e Giovanni Battista Carlone che esaltano la magnificenza delle sale, distinguendosi come tra i più significativi esempi del barocco genovese.

Al centro della decorazione pittorica barocca del palazzo, si trova il salone principale del piano nobile dove, nei primi anni Settanta del Seicento, Domenico Piola dipinge lo straordinario affresco dell'Allegoria della Pace. 

Quest'opera rappresenta uno dei capolavori dell'artista, realizzata in collaborazione con il quadraturista bolognese Paolo Brozzi.

Nel riquadro centrale, Giove circondato dagli dei tra le nubi dell'Olimpo, riceve da Giano le chiavi del Tempio della Guerra.

Questo grandioso affresco fu commissionato al Piola da Alessandro Spinola, doge della Repubblica di Genova dal 1654 al 1656, che attraverso questa allegoria intendeva sottolineare la sua buona gestione a servizio dello stato. La scelta dei soggetti raffigurati identificano la volontà del Doge di essere individuato come portatore di una sorta di Pax romana in occasione del suo governo, incentrato, oltre che sull’ordine pubblico, anche sulla valorizzazione dell’arte.

C’era una volta Elena di Troia

Fu ad opera del marchese Benedetto Spinola che sulla terrazza venne fatto costruire un ninfeo monumentale, accessibile dal salone principale e da due delle quattro salette laterali.

Il ninfeo è formato da concrezioni e conchiglie poste come tessere che danno vita ad un mosaico rappresentante una città in fiamme. Al centro dell’opera fu posto un gruppo scultoreo realizzato dal grande scultore francese Pierre Puget.

La statua, che rappresenta il rapimento di Elena di Troia, tutt’ora di proprietà del Comune di Genova, è conservata nel museo della statuaria e dell’arte medioevale di Sant’Agostino. 

L’opera, scolpita dopo il 1683, fu forse realizzata in collaborazione con altri artisti, ma ciò non toglie nulla alla splendida, complessa e movimentata composizione che ne è scaturita. L’ambientazione nella quale fu collocata ha suscitato nel tempo qualche perplessità; la storia insegna che Elena fu consenziente nel seguire Paride a Troia e quindi la città in fiamme rappresentata nel ninfeo certamente non può essere Sparta, per cui l’ipotesi più verosimile è che il gruppo statuario non rappresenti il rapimento, piuttosto la riconquista, della bella Elena da parte del marito Menelao dopo che gli achei avevano messo a ferro e fuoco la città di Priamo.

Pantaleo Spinola, acquirente dell'area e promotore della costruzione, non riuscì a vedere completato il suo palazzo poiché morì nel 1563, un anno prima del suo architetto. Dopo di lui, la vedova Battina Salvago si occupò di portare a termine l'edificio. Nel 1923, il Banco di Chiavari e della Riviera Ligure lo acquistò, destinandolo a sede dell'Istituto bancario.

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