Terminata la visita alla Galleria Nazionale ci dirigiamo verso Palazzo Reale, situato su un’altra via di assoluto pregio per Genova: via Balbi. Il biglietto combinato dei musei nazionali permette di effettuare la visita ad entrambe le strutture anche in giornate differenti, e ha scadenza di oltre un anno dall’acquisto.
Per raggiungere Palazzo Stefano Balbi, altro nome del museo, abbiamo deciso di esplorare un’altra zona della Genova che tanto abbiamo iniziato ad amare, ovvero quella affacciata verso il mare.
Attraverso vico Morchi ci spostiamo sotto i portici della "Ripa Maris" o di Sottoripa, ovvero i porticati pubblici più antichi conosciuti in Italia. Costruiti tra il 1125 e il 1133 grazie all'iniziativa del comune, questa galleria fu concepita come parte integrante di un'operazione urbanistica davvero innovativa per l’epoca. Quando furono progettati, il mare arrivava ad occupare l'area di piazza Caricamento e via Turati, lambendo le fondamenta delle case della zona chiamata Ripa, ed il loro affaccio era diretto sul porto.
Lo scopo principe di quest’intervento era quello di ospitare negozi e botteghe per facilitare i commerci portuali, dando modo agli artigiani di stoccare in capienti magazzini le merci in attesa di essere spedite oltremare o appena sbarcate dalle navi. Questi movimenti logistici erano gestiti dai “camalli”, gli scaricatori del porto, che trasportavano pesanti carichi dalle navi fino alle banchine e ai magazzini stessi. Le famiglie dei nobili mercanti genovesi si adoperarono così ad impreziosire la via, costruendo case a schiera sopra le botteghe, attraendo le nascenti consorterie legate alle stesse famiglie nobili, che si insediarono nelle vie retrostanti. Alcune di queste famiglie sono rimaste attive sulla scena politica genovese nei secoli successivi, come i Dalla Volta, i De Mari, i Doria, i Fieschi, i Grimaldi e gli Usodimare. La via è stata descritta molto bene da Enea Silvio Piccolomini (il futuro papa Pio II) in visita a Genova nel 1432 come "un porticato lungo mille passi dove si può acquistare ogni merce". Con il tempo però, la via si è allontanata progressivamente dal mare grazie all'ampliamento dei moli. Nel XVII secolo, la costruzione delle "Mura nuove" ha separato la città dal porto, i portici hanno perso il loro rapporto naturale con il mare, e le attività commerciali hanno subito un periodo di decadenza fino alla metà dell'Ottocento. Quando piazza Caricamento è stata creata nell'area antistante la palazzata sommitale della Ripa, il tratto nord-occidentale del porticato è stato restaurato da Alfredo d'Andrade, ridando alla zona la vitalità commerciale di un tempo. E ancora nel 2004, in occasione della manifestazione Genova capitale europea della cultura, le facciate dei palazzi della Ripa sono state restaurate, migliorandone non solo l'estetica, ma riqualificando a cascata anche le aree adiacenti al centro storico. All’angolo di vico Morchi sorge ancora una bottega
storica che ha vissuto i fasti dell’epoca: P. Armanino e Figli.
Questa zona è custode di storie antiche, legate indissolubilmente alle vicende di mercanti, bottegai ed artigiani. In Sottoripa si faceva la fila alle friggitorie e ai forni detti “Sciamadde”, dove si preparavano farinata, frisceu, panissa e il "giornâle", un bel pezzo di baccalà fritto, che, messo in un panino e avvolto nella carta, serviva da pranzo per chi stava entrano a lavorare in porto.
Da qui in poi la nostra trekkinata si sposta dall’ombrosa via di Sottoripa alla decisamente più aperta via Del Campo, dove, appena prima di oltrepassare la Porta dei Vacca, ci soffermiamo su di un insolito slargo che sappiamo molto bene essere custode di una storia singolare, ovvero quella che si cela appena dietro la Fontana dei Vacchero, nell’omonima piazza. Ebbene, alle spalle di questa immensa fontana che apparentemente poco ci azzecca con la sua collocazione, troviamo un curioso manufatto.
Per raccontarvene, dobbiamo balzare indietro nel tempo sino al 1628 quando i Savoia tentarono un colpo di stato nei confronti della Superba. Giulio Cesare Vacchero, dalla sua casa di Via del Campo, avrebbe dovuto occuparsi dell’uccisione del Doge e dei componenti più importanti della Repubblica permettendo così la rapida occupazione dei Sabaudi; la congiura però fallì ed il traditore, una volta scoperto, non la passò liscia.
Il Vacchero fu condannato per alto tradimento, decapitato, i suoi beni furono confiscati ed i suoi figli banditi, inoltre la sua casa fu rasa al suolo e sulle macerie fu eretta la cosiddetta "Colonna Infame", con lo scopo di svergognarlo in eterno. Per nasconderla, ai suoi discendenti, fu data la possibilità di costruire la grande fontana che troviamo ancora oggi. Si dice che qui si aggiri spesso il fantasma del Vacchero, e sono molte le testimonianze di abitanti della zona che si sono imbattuti nel famigerato aristocratico genovese con la testa a penzoloni. Noi, a parte qualche piccione un po’ malandato, non abbiamo notato nulla di insolito, e abbiamo continuato diritti per la nostra strada!
Attraversata via Del Campo ci infiliamo nella famosa Via Prè, con l’intento di raggiungere la piccola e particolare chiesa intitolata a San Sisto II. L'edificio, che troveremo alla nostra sinistra, è un autentico gioiello di architettura neoclassica. Sebbene la sua storia sia quasi millenaria, la chiesa si erge ancora con delicatezza tra le case, passando quasi inosservata. Entro l’edificio, lo sguardo viene immediatamente catturato dal sontuoso circolo della cupola, il cui affresco, opera di Michele Cesare Danielli, rappresenta il martirio e la glorificazione di Papa Sisto II.
Negli anni 60, quando De Andrè girava per il Sestiere di Prè, questa parte di Genova era frequentata da prostitute, contrabbandieri, travestiti e alcolizzati; un posto dove il cantautore genovese prese ispirazione per una buona parte dei suoi testi. Ed è proprio sulle note della celebre canzone “Via Del Campo”, che ci dirigiamo in un luogo che nei secoli ha sempre offerto sostegno ed aiuto ai più bisognosi, e non solo provenienti dalle zone limitrofe: la Commenda di Prè. Questo edificio è forse uno dei luoghi della città che ha interagito con più persone in assoluto, provenienti da tutta Europa e dal lontano Medio Oriente.
Il complesso romanico risale al 1180 quando in questa zona vi erano prevalentemente piccoli campi coltivati, e lo spazio per costruirvi un complesso che fosse ostello, ospedale e convento, da cui deriva il nome Commenda, di certo non mancava. Fu così che l’ordine religioso degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, detti anche Gerosolomitani, costruì la Commenda di Prè a fruizione inizialmente dei pellegrini, dei soldati e dei mercanti e in seguito dei malati e degli indigenti della città.
Il complesso, edificato in pietra, si presenta con una serie di arcate, un imponente campanile e due chiese sovrapposte.
L’idea di costruire in quella zona vicino al porto fu strategica in quanto, nei secoli, il diretto accesso con il porto permise di offrire riparo ai Crociati diretti in Terra Santa, che a Genova erano particolarmente presenti in quanto luogo dove si connettevano tra loro le strade di commercio e pellegrinaggio che univano l’Europa con l’intero Mediterraneo. Oggi questo complesso ospita il Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana che si propone al pubblico come custode delle storie di vite dei protagonisti dell’emigrazione del nostro Paese.
E se di viaggi vogliamo parlare, come non spingere il nostro bizzarro itinerario fino ad un luogo che di fatto si identifica come punto focale della storia cittadina più recente; arrivati nella meravigliosa piazza del Principe, sita accanto al palazzo del Principe Andrea Doria in Fassolo, eccoci davanti alla stazione ferroviaria di Principe. Il nucleo originario di questa stazione si estende in toto tra via Andrea Doria, piazza Acquaverde e piazza del Principe, .
Fu l'architetto Alessandro Mazzucchetti a dare il via ai lavori di costruzione di quest’imponente fabbricato agli albori del 1853, inaugurandolo poi tre anni più tardi, nel 1860. Inizialmente la stazione funse come capolinea delle linee ferroviarie non collegate, Principe per quelle dirette verso nord ed il ponente ligure e Brignole verso il levante.
Palazzo Stefano Balbi
Il Palazzo Stefano Balbi, un capolavoro architettonico che risale alla metà del XVII secolo, fu commissionato dalla famiglia Balbi, una delle famiglie nobiliari più prestigiose della Repubblica Marinara di Genova. In origine il palazzo era costituito solamente dal corpo centrale, considerato un progetto ambizioso per l'epoca. La famiglia Balbi incaricò i migliori affreschisti genovesi e bolognesi, tra cui Valerio Castello, Giovan Battista Carlone, Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli, per decorare la sala principale dell'edificio.
Successivamente, nel 1679, il palazzo fu acquistato dalla famiglia Durazzo, aristocratici banchieri di origini albanesi. Nel corso dei due secoli successivi, la famiglia Durazzo ampliò e abbellì magnificamente l'edificio originale. Fu speso molto denaro per decorare il palazzo nei magnifici stili barocco e rococò, che sono in gran parte rimasti intatti sino ai giorni nostri. Ed è proprio in questo periodo che venne realizzata la meravigliosa Sala degli Specchi ed il lussurreggiante Giardino Pensile.
Dopo la bancarotta però, la famiglia Durazzo decise di vendere la dimora, che suscitò fin da subito l'interesse di Napoleone Bonaparte e del re Vittorio Emanuele I di Sardegna, che lo acquistò nel 1824.
Il Palazzo Reale fu ristrutturato per rispondere alle nuove esigenze reali e vennero così create le camere da letto del re e della regina, la sala delle udienze, la sontuosa sala del trono e la regale sala da ballo. Nel 1919, Vittorio Emanuele III lo donò al governo italiano, attuale proprietario di questa magnifica residenza. Nel 2006, insieme ad altri 41 palazzi genovesi, il Palazzo Reale è stato incluso nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO. La visita, come avvenuto per i Musei di Strada Nuova nelle edizioni precedenti, può essere effettuata in totale autonomia attraverso una mappa cartacea consegnata all’ingresso e ai vari codici QR posizionati nelle numerose stanze. Il percorso riesce a farci immergere nei magnifici saloni del secondo piano nobile, dove si svolgeva la vita pubblica e privata dei membri della famiglia reale dei Savoia, ultimi proprietari del palazzo, passando per la bellissima Sala delle Udienze (che ricorda il Palazzo Reale di Torino) con i suoi mobili pregiati e le opere di Anton Van Dyck dove, su tutti, spicca l'affascinante ritratto di Caterina Balbi Durazzo. Non da meno è la vista che si gode dalla terrazza del terzo piano, che merita una sosta contemplativa verso il Golfo di Genova.
Benvenuti a palazzo
Il Palazzo Reale di Genova è un capolavoro architettonico che ha saputo incantarci come pochi altri palazzi hanno fatto fino ad ora. All’interno della reggia si trovano la sontuosa Sala del Trono e la Galleria degli Specchi, che si ispira quasi fedelmente a quella commissionata da Luigi XIV presso la Reggia di Versailles, ed entrambe, a proporzioni differenti ovviamente, rappresentano una straordinaria fusione di pittura, scultura e architettura.
Nel XVIII secolo, grazie all'opera di Eugenio Durazzo, l'adiacente teatro del Falcone fu annesso al Palazzo. Questo spazio teatrale nacque circa un secolo prima per l'aristocrazia cittadina e, fino alla costruzione del teatro Carlo Felice, fu principale luogo di importanti rappresentazioni. Nel 1825, Niccolò Paganini pronunciò qui il celebre "Paganini non ripete" in risposta alla richiesta di un bis da parte del re Carlo Felice.
Questo rifiuto gli costò l'espulsione dal Regno e la consacrazione del motto. Il teatro venne poi gravemente danneggiato durante la Seconda Guerra Mondiale e poi demolito. Oggi, sulle sue ceneri, si trova uno spazio espositivo che ospita mostre ed eventi. Al piano terreno troviamo i giardini pensili risalenti al Settecento, impreziositi dallo splendido pavimento a risseu recuperato dal Convento della Monache Turchine. Ed ancora un laghetto artificiale dalla particolare forma ottagonale, dove si possono ammirare delle bellissime ninfee.
Una curiosità che girando in autonomia il Palazzo non riuscirete a cogliere: si tratta del cosiddetto "Ponte Reale", un percorso che attraversava l'attuale via Gramsci, collegando il palazzo all'antico porto di Genova. Nel 1964 il ponte venne demolito per far spazio alla sopraelevata, segnando sin dagli albori della sua costruzione, la storia della viabilità cittadina.
Soffermandoci in via Balbi, non possiamo resistere all'attrazione di visitare di straforo il Palazzo dell'Università di Genova, ex Collegio dei Gesuiti di Genova, per ammirarne l'architettura e immergerci nelle numerose opere d'arte al suo interno.
La costruzione del palazzo iniziò negli anni '30 del Seicento per mano dell'architetto comasco Bartolomeo Bianco, come sede del collegio dei Gesuiti. Questa magnifica opera fu finanziata e realizzata dalla famiglia Balbi, dalla quale i gesuiti acquisirono il terreno nel 1623. Grazie alla conformazione del terreno, i vari livelli dell'edificio si sviluppano su diversi piani accessibili tramite rampe e scalinate, che ci ricordano molto Palazzo Tursi.
All'interno del palazzo sono presenti numerosi ambienti di grande interesse storico e artistico, oltre ad importanti opere d'arte. All'ingresso monumentale, ad esempio, troviamo due enormi leoni in marmo bianco, scolpiti su disegno di Domenico Parodi all'inizio del Settecento. Tra le aule più significative, lungo il corridoio di Sant'Ignazio al secondo piano, spiccano l'aula ligure e l'aula della meridiana, così chiamata per lo strumento realizzato nel 1771 dal padre francese François Rodolphe Corréard per misurare il tempo. Grazie a un dispositivo informatico appositamente creato, è possibile osservare il funzionamento della misurazione del tempo attraverso un raggio di luce artificiale.
Quest’esperienza ci riporta indietro nel tempo in un itinerario percorso a Perinaldo, patria dell’astronomo ligure Gian Domenico Cassini, suscitando in noi un grande interesse. La meridiana a camera oscura del Palazzo dell’Università di Genova è l’unica appartenente a questa tipologia in Liguria e trova importanti correlazioni a Firenze presso la basilica di Santa Maria del Fiore e in Santa Maria Novella, mentre a Bologna, in San Petronio si trova un’altra meridiana a foro gnomonico ancora funzionante, realizzata proprio da Gian Domenico Cassini nel 1655), che proprio qui a Genova inizia i suoi studi. Terminata la visita guidata alla sala della Meridiana, usciamo dall’Università e ci instradiamo a parziale completamento del nostro personalissimo tour. A questo punto potreste essere anche stanchi di leggerci . . . ma noi continuiamo con determinazione a condividere ancora qualche dettaglio! Come già visto in precedenza, la Strada delli Signori Balbi era originariamente progettata per estendere la via commerciale in funzione del trasporto delle merci che dal porto transitavano verso l'uscita ovest della città, dove un tempo sorgeva la Porta di San Tommaso. Tra i 12 edifici inizialmente costruiti lungo la Strada Nuova, il Palazzo che esploreremo ora si preparava a diventare il secondo nucleo più importante del circuito dei Rolli, appartenente ai fratelli Giacomo e Pantaleo Balbi. L'ornamento dell'edificio, avviato nel 1645, fu curato da Francesco Maria Balbi, figlio di Giacomo. Inizialmente, Francesco si occupò di ampliare lo spazio a piano terra aprendo il cortile interno per creare un piccolo giardino che oggi ospita un aranceto. Successivamente, fu aggiunto un ninfeo con statue in stucco, rocce e conchiglie, realizzato da Giovanni Battista Barberini. Le modifiche più significative riguardano però il secondo piano nobile, dove Francesco Maria Balbi trasformò il loggiato in una straordinaria galleria, su cui lavorò il pittore Valerio Castello. Il giovane pittore genovese intervenne anche nella Sala del Carro del Tempo del palazzo, così chiamata per l'affresco centrale che copre l'intera volta.
La scelta di rappresentare un tema legato alla morte potrebbe essere associata all'arrivo della peste in città nel 1656, che colpì gran parte della popolazione, incluso il cugino di Francesco Maria. Il Palazzo Balbi rimase di proprietà della famiglia per oltre tre secoli, ospitando una preziosa collezione d'arte che includeva opere di grande valore, come la prima versione della Conversione di San Paolo di Caravaggio, oggi esposta nella Collezione Odescalchi a Roma. Nel 1972, l'Università degli Studi di Genova acquisì il palazzo e lo utilizzò come sede della Scuola di Scienze Umanistiche, funzione che assume ancora oggi.
Sacro e Profano un po’ ovunque insomma, ogni piccolo dettaglio scoperto in questa “tre giorni a zonzo per Genova” ci ha fatto apprezzare elementi e storie che mai avremmo appreso prima; e con l’intento di terminare il tour da dove eravamo partiti, vogliamo porre l’ultimo accento su un luogo dove immense ricchezze di un unico individuo vennero impiegate, in termini assistenziali, per il bene della comunità. Malati, poveri e disgraziati, da sempre relegati ai margini della società, vennero individuati dal filantropo Emanuele Brignole, come punto focale sul quale porre attenzione.
Albergo Dei Poveri
Per compiere questo ultimo tour nella Genova del Sacro e Profano, veniamo raggiunti dalla sovrintendente dell'Albergo dei Poveri, la dot.ssa Annamaria De Marini, che ci regala una visita guidata straordinaria. La costruzione di questo imponente edificio, concepito nel XVII secolo, rappresentò la conclusione di un lungo periodo di riflessione sulla povertà e sull'assistenza sociale, con tentativi concreti di risolvere tali questioni. Con la sua maestosa struttura, l'Albergo si è integrato con vigore nel tessuto urbano della città, diventandone un punto di riferimento visivo, particolarmente evidente quando si arriva via mare.
Come più volte visto in queste pagine, a partire dalla metà del Cinquecento, con l'apertura di Strada Nuova e successivamente, all'inizio del Seicento, di Strada Balbi, l'espansione della città si spostò gradualmente verso ovest, occupando le aree ancora libere all'interno delle mura. Oltre agli interventi di natura privata, la Repubblica avviò una serie di importanti opere pubbliche, ponendo un prezioso accento sulle tematiche assistenziali e di ordine pubblico, incrementando così ogni tentativo di rilancio della città nel contesto europeo.
Quando infine emerse, come inevitabile, l’idea della costruzione di un nuovo lazzaretto, la scelta cadde sulla valle di Carbonara a Ponente, fuori dalle mura vecchie ma entro quelle nuove, che era in grado di offrire ancora ampi spazi di manovra per importanti costruzioni.
La tipologia di pianta che si scelse di conferire all’Albergo dei Poveri, a croce greca, fu, in un certo senso, obbligata. Secondo alcune fonti il progetto originale dell'edificio, quello del 1652, ad opera dell'architetto Stefano Scaniglia di Sampierdarena, adattò il palazzo alle caratteristiche morfologiche del terreno di costruzione, compreso fra le pendici del monte Galletto e la collina di Carbonara. La chiesa, posta al centro della crociera, che doveva essere vista da ogni lato in modo da permettere a tutti di assistere alle funzioni liturgiche, era il cuore pulsante della struttura. L'Albergo che si presenta a noi oggi è ricco di pregiate opere artistiche, pittoriche e scultoree assolutamente da non perdere. All'interno della chiesa, dedicata della Beata Vergine della Concezione, si può ammirare un dipinto raffigurante l'Ascensione del pittore Domenico Piola mentre, sull'altare maggiore, è presente una statua dell'Assunta ad opera di Pierre Puget. Nell’atrio maggiore un consistente numero di statue ricordano i grandi benefattori che con la loro generosità avevano posto le basi spirituali ed economiche per poter permettere la fondazione della struttura. Particolarmente prezioso è il patrimonio tessile che comprende paramenti e complementi d’arredo sacro, variamente databili tra il XVII e il XIX secolo ma per lo più d’epoca Settecentesca.
E tra decine di sfarzosi palazzi, prestigiose e ricche chiese, storie e aneddoti del passato, decidiamo di terminare proprio qui il nostro speciale itinerario dedicato ai Rolli Days Invernali, un luogo capace di essere neutro, imparziale e fondamentale per la storia di Genova.
Questi affreschi sono stati realizzati da Lazzaro Tavarone e sono legati a importanti eventi storici, come per esempio quello che troviamo nella prima sala che visitiamo a questo piano, che raffigura Francesco Grimaldi intento a guidare l'assedio di Lisbona del 1580, realizzato intorno al 1614 su commissione di Tommaso Grimaldi in memoria del padre. Ed è proprio in queste sale che si trovano alcuni ritratti dei Pallavicino realizzati da Antoon van Dyck, tra cui spiccano quelli di Ansaldo Pallavicino da Bambino e quello di Domenico Fiasella.
Proseguendo la visita del museo, arrivando al cospetto delle sale del secondo piano nobile, ci imbattiamo nei sostanziosi interventi apportati da Maddalena Doria, di cui vi abbiamo menzionato qui sopra. Nel salone più grande di questo piano, possiamo ammirare l'affresco del soffitto che celebra il trionfo di Rainieri Grimaldi durante la battaglia navale di Zierikzee, nei Paesi Bassi. Gli affreschi dei salotti successivi, invece, raffigurano temi e soggetti mitologici, tra cui le nozze di Amore e Psiche di Sebastiano Galeotti. Salendo ancora di un piano, si possono ammirare le zone una volta adibite agli alloggi della servitù e alle stanze private dei proprietari. Questo piano è stato devastato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, tanto da dover prevedere, in occasione del lascito Spinola nel 1958 allo Stato, la ricostruzione dei vani del terzo e del quarto piano per ospitare la Galleria Nazionale della Liguria. Oggi questi due piani ospitano circa cinquanta dipinti di artisti dell'Età Moderna, al terzo piano, ed una raccolta di tessuti e ceramiche al quarto piano.francesco gri
Emanuele Brignole
Fu il nobile genovese Emanuele Brignole a promuovere la costruzione di una struttura per ospitare coloro che avevano minori possibilità di autosufficienza, dedicando la sua vita al servizio alle opere di misericordia.
L'edificazione del sito, iniziata nel 1656 nella valletta di Carbonara, fu un processo lungo e laborioso, protrattosi per quasi due secoli principalmente a causa della grande peste.
Brignole fu incaricato di sovrintendere alla gestione di questo vasto complesso dal Ministero e ben presto si distinse come la prima struttura del genere in Italia ed in Europa proprio grazie al suo modello organizzativo incentrato sul lavoro, dove le attività manuali erano viste come mezzi di autofinanziamento e di redenzione spirituale. Nel 1666 iniziarono ad essere accolti i primi “ospiti”, i quali, per regolamento, non potevano mai lasciare l'Albergo. Gli internati svolgevano lavori manuali di ogni tipo e si dedicavano alla preghiera per tutta la giornata.
Solo trent’anni più tardi, nel 1694, registri dell’epoca contano poco meno di 2.600 tra uomini, donne e bambini assistiti da quasi 400 unità tra inservienti e personale di servizio.
Una volta terminato il periodo rieducativo/assistenziale, il paziente, se così possiamo chiamarlo, poteva scegliere se continuare la propria vita entro le mura o al di fuori, avendo ormai assimilato un mestiere ed essendosi ben integrato con la comunità. Da qui nascevano figure artigiane di tutto rispetto come calzolai e tessitrici, ma anche marinai e portuali.
A sinistra dell'altare maggiore, nei pressi dell'ingresso che immette in quello che anticamente era la "Chiesa degli Uomini", sotto una lapide senza nome è sepolto, per sua volontà, il fondatore Emanuele Brignole, che volle riposare in eterno “sotto i piedi de' Poveri, che grandemente amò in vita”.
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