La Via Dell'Acqua: Acquedotto Storico
Davagna
Vi ricordate che in passato siamo stati nel rifugio antiaereo di Via Campi? Che c'entra? Non avremmo sicuramente avuto le informazioni che leggerete se non fosse stato per gli episodi a cascata che ne sono derivati. Accade infatti che all'uscita della nostra rubrica settimanale su Genova24.it, veniamo contattati da Stefano Saj, il presidente del CSS (Centro Studi Sotterranei di Genova) che, oltre ai complimenti per la pubblicazione, ci invita a partecipare alle uscite in programma organizzate dalla loro associazione. Un contatto molto prezioso per noi che abbiamo conservato con cura. Capita così che decidiamo di chiedergli se è possibile essere accompagnati per una visita all'Acquedotto Storico ma purtroppo questa struttura non rientra tra quelle gestite dal suo CSS. Riesce comunque ad aiutarci e ci presenta il sig. Gianni Zai, presidente della federazione per la tutela e la valorizzazione dell'acquedotto storico della Valbisagno, il quale ci da appuntamento a Molassana per conoscerci di persona e per percorrere insieme l'itinerario che vi proporremo ora. Intanto alcune informazioni: l'acquedotto storico di Genova è un'antica struttura architettonica situata nella val Bisagno, che ha garantito per secoli l'approvvigionamento idrico al comune di Genova. Il punto di partenza era nel comune di Bargagli, nell'alta valle e attraversava per intero i quartieri di Struppa, Molassana, Staglieno e Castelletto, dove si divideva in due rami che terminavano nei pressi del porto antico, uno alla darsena e l'altro all'altezza della ripa, in piazza Cavour. Quello che resta oggi dell'infrastruttura, databile per una parte al Seicento e per l'altra all'Ottocento, è un percorso pedonale lungo circa ventotto chilometri, in uno scenario rilevante sotto moltissimi punti di vista: dalle architetture civili e monumentali di cui abbiamo un esempio con il ponte canale sul rio Torbido, con il portale del Barabino alla Rovinata, all'archeologia industriale del ponte sifone sul Geirato e del suo gemello sul Veilino fino alle piacevoli passeggiate nel verde dove l'acquedotto si è trasformato e mimetizzato tra i centri urbani. Noi non percorreremo tutti i 28 km con Gianni, ma ci focalizzeremo maggiormente sul tratto che inizia dal comune di Davagna sino a giungere al ponte sifone sul Geirato. Dalle sorgenti delle alte valli genovesi scenderemo verso il cuore di Genova, attraversando orti, boschi e sentieri, piccole borgate e perfino un percorso nascosto e sotterraneo. Posteggiamo dunque l'auto in uno slargo nei pressi di via Passo Rio Canate e ci dirigiamo verso il ponte Canale, costruito in epoca seicentesca e composto da sei arcate del diametro di 11 metri per una lunghezza complessiva dì 95 metri. I materiali impiegati furono pietra e mattoni per la struttura portante e blocchi di pietra squadrata per gli ornamenti esterni. Geograficamente siamo nella seconda parte dell'intero itinerario e ci dirigiamo oltre, lasciandoci il ponte quasi immediatamente alle nostre spalle per inoltrarci in una fitta boscaglia che costeggia il versante destro del fiume Bisagno. Sopra di noi si erge il monte Caviglia che, insieme al monte Piano, ci separano dalla Val Noci, dove è stato creato l'omonimo bacino artificiale. Proseguendo sui nostri passi, incontriamo un piccolo nucleo rurale e i resti di un vecchio fienile, Gianni ci narra appunto di come un tempo queste zone fossero fortemente sfruttate vista la vicinanza del fiume principale e dei rii affluenti. Un'area questa che nel tempo rese necessario il continuo intervento manutentivo da parte dell'uomo che apportò anche numerose riparazioni che deturparono lo stile architettonico originale dell'acquedotto in favore delle comodità moderne quali strade carrabili, ponti radio, piloni dell'energia elettrica e vari rattoppi alla pavimentazione.
Ci preme sottolineare che la nostra guida di oggi, il signor Zai, presidente del circolo Sertoli che si occupa di mantenere attivo e vivo l'interesse per questo storico bene, è tra i volontari "della vecchia guardia" come si definisce lui stesso, uno di quegli appassionati a cui dobbiamo l'apertura di parti dell'acquedotto altrimenti ancora ostaggio della boscaglia. Proseguendo oltre raggiungiamo i ruderi dell’ Oratorio di San Rocco un ex luogo sacro, in evidente stato di abbandono e pericolante che venne costruito nel 1642 svolgendo funzioni di parrocchia sino alla prima metà del Novecento. Parte del tetto "a botte" è oramai crollato e, sia i muri interni sia l’altare seicentesco, presentano segni di vandalismo molto estesi. In assenza di un intervento nel prossimo futuro la struttura senza dubbio crollerà, andando completamente perduta. Tramite una raccolta firme indetta dai Fan dell'Acquedotto (seguiteli su Facebook), spiega Gianni, questo piccolo gioiello è entrato al 63esimo posto nella classifica nazionale del FAI, con la speranza che possa esser salvato. Da questo punto in avanti, circumnavigato l'abside dell'oratorio, prendiamo un'asfaltata sulla nostra destra per raggiungere via ai Filtri di Prato, dove è collocata una centrale dell'Iren. Purtroppo in questa zona l'attuale strada ha sostituito in modo definitivo alcuni tratti di acquedotto, lasciando intatta solo una piccola porzione che comprende un ponte-canale che scavalca lo stretto rio Conte. Scorgeremo da li a poco un varco, protetto da un'inferriata arrugginita, uscita della cosiddetta Galleria della Rovinata, iniziata nel 1826 e terminata nel 1830 su disegni del famoso architetto urbanista Carlo Barabino. Un'opera costruita per evitare che la struttura subisse danni vista la zona particolarmente franosa da cui deriva il toponimo "Ruinà" in genovese, che vuol dire appunto rovinata, franosa. L'inaccessibilità al varco ci costringe a procedere un pochino avanti e trovarci finalmente di fronte all'ingresso dove scorgiamo un portale in pietra con colonne in marmo, sovrastato da un'iscrizione latina: Aedilium, cura substructiones, arcuatae, perfectae MDCCCXXX (Opera di sostegno ad arco condotta a termine sotto la direzione degli edili nel 1830). Visto che in autonomia non è possibile accedervi, ci raggiunge sul posto Gianpaolo Malatesta, membro dell'associazione Amici della Natura e custode delle chiavi della Galleria. Il primo tunnel, lungo circa 70 metri lineari, ci porta ad un ampio atrio, preambolo di un cunicolo abbastanza alto da permettere il passaggio per la pulizia e la manutenzione. A metà galleria si apre invece un grosso camino cilindrico per l'aerazione; cinque metri di diametro e venti di altezza, chiamato anche "buco del respiro", uno squarcio di luce che realmente ti riapre i polmoni. Terminata la visita, il nostro tracciato prosegue tra orti e ulivi conservando la caratteristica pavimentazione a lastre di Luserna, posata nei primi del '900. Continuando la trekkinata lungo l'acquedotto si arriva ad intersecare via Trossarelli con via dei Noceti per imboccarla. Proprio in questo punto la via dell'acqua attraversa il sentiero che porta a San Cosimo di Struppa, dove sorge la chiesa dei Santi Cosma e Damiano che diede il nome alla frazione. Proseguiamo su via Inferiore Gambonia prima e via Aicardi poi, costeggiando l'antico corso dell'acquedotto che correva lungo la Galleria di Gambonia. Giunti a metà del nostro percorso, ci soffermiamo a commentare delle piccole costruzioni ad arco poste lungo il muro dell'acquedotto che in questo tratto è ad altezza uomo. Si tratta di accessi di ispezione che consentivano le ordinarie manutenzioni e la pulizia dei canali dai resti organici del bosco, stessa funzione che veniva svolta da grate poste come filtri e posizionate anch'esse lungo il tragitto. Un piccolo gruppo di case, poi, attira la nostra attenzione: si tratta di un paio di antichi mulini risalenti al 1825. La loro costruzione, preceduta solo dalla realizzazione del ponte canale sul rio Torbido (1824), aveva un utilizzo manifatturiero/pubblico. Gianni ci mostra che appena sotto sorgeva anche il forno dove veniva cotta la calce di cui erano ricoperte le pareti interne dell'acquedotto. Il ponte che attraversiamo è lungo oltre 100 metri e alto più di 35 e, con il suo doppio ordine di arcate, è certamente l'opera più importante del tratto seicentesco dell'acquedotto. La vista poi cade sul campanile della chiesa di San Siro, datata intorno all'anno 1000 d.C.. La leggenda vuole che questa chiesa sorse nei pressi del luogo dove sarebbe nato il santo, vescovo di Genova nel IV secolo, ed è considerata il monumento storico più importante della Val Bisagno. Lasciato il ponte di rio Torbido alle nostre spalle, l'acquedotto prosegue superando i fossati di Chiappe e Ciassetti verso il cuore di San Siro, oltrepassando un altro ponte canale costruito sempre dal Barabino nel 1827, in sostituzione di un tronco più a monte in disuso. In questo frangente, a lato di alcune abitazioni, Gianni ci mostra la lapide commemorativa posta sull'angolo di una casa nella quale si presuppone sia il nato San Siro! A questo punto, giusto poco prima di incrociare Via Creto, su salita Cà Dolcini, appena sotto di noi, è possibile visitare alcuni vecchi lavatoi pubblici che venivano alimentati direttamente dall'acquedotto. Un breve tratto su asfaltata provinciale ci porta ad attraversare un curvone sul quale dobbiamo prestare molta attenzione! Percorriamo via Araone da Struppa, la strada che costeggia il cimitero di San Siro, fino a raggiungere un altro ponte canale sul rio Consiglieri, lungo 116 metri e composto da 13 arcate, realizzato in sostituzione del vecchio tratto di acquedotto che Gianni ci mostra essere ancora riconoscibile sulla nostra destra. Ora siamo su via salita Poggio di Struppa, dove dobbiamo solcare una lunga via asfaltata circondata da numerose abitazioni che utilizzano proprio questo tratto dell'acquedotto come strada carrabile. La via serpeggia così tra numerosi muretti a secco fino ad incrociare l'antica salita Castelluzzo che porta ai ruderi dell'antico castello e in località terre Rosse, posta più a monte. La zona boschiva viene meno e si apre dinnanzi a noi la lunga valle del Bisagno, un tempo dedita alle coltivazioni che rifornivano di frutta e verdura la città; non a caso i fruttivendoli qui a Genova vengono ancora oggi chiamati "bezagnìn", memori dei ricordi di un tempo. Poco prima di arrivare alla chiesa dell'Assunta, che incontreremo più avanti dinnanzi a noi, incrociamo l'antica strada che da Molassana Bassa sale verso via salita alla Costa; la città si avvicina. Oltrepassiamo un piccolo ristoro ed il cimitero di Molassana Alta, passiamo il rivo Crosa e il vicino Oratorio di Casaccia di S. Giovanni Battista e arriviamo ad incrociare la vecchia via Roccatagliata. Imboccata quest'ultima ci avviamo verso la vasca di compensazione posta all'ingresso del ponte-sifone che attraversa la valle del Geirato, in via alle Brughe, dove ad aspettarci c'è il signor Luciano De Marchi del Circolo Ricreativo Culturale via Sertoli, custode delle chiavi della casetta del guardiano e del ponte sifone sul Geirato, che ci aprirà di li a breve. Il ponte è lungo più di 600 metri ed è composto da 22 arcate, per accedervi bisogna passare a fianco della casetta costruita sopra la cisterna che faceva da vasca di regolazione per l'acqua. Attraverso un cancello si prosegue sul ponte che scavalca la valle e ci porta sulla opposta collina di Pino. Caratteristici e suggestivi sono i tubi in ferro posti ai lati che creano un bellissimo effetto visivo che si dilunga sino alla sponda opposta del Geirato. Nel racconto del nostro itinerario ci fermiamo qui, con l'auspicio di poter percorrere l'ultima tappa del percorso in un'altra occasione; prendiamo la macchina di Gianni e ritorniamo alla nostra lasciata a Davagna.
Percorso in numeri
h 2:00
Tempo di Percorrenza
7,00 Km
Lunghezza Percorso
100 mt
Dislivello