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Abbazia di Borzone e San Martino di Licciorno

Borzonasca

Il nostro itinerario di oggi vi accompagnerà alla scoperta di due importanti valli genovesi site nell'immediato entroterra del Tigullio: la Val Sturla e la Val Penna, entrambe facenti parte del territorio in capo al Parco Naturale Regionale dell'Aveto. Essendo lontani da casa, la nostra giornata inizia abbastanza presto, raggiungendo il comune di Borzonasca già alle prime ore del mattino.
Ci avviciniamo in auto in località Borzone non prima di aver fatto non una, bensì due colazioni e posteggiamo nei pressi di una bellissima chiesa.
L’antica Abbazia di Sant’Andrea, comunemente chiamata Abbazia di Borzone, risale al X-XI secolo ed è forse uno degli edifici religiosi più antichi e meglio conservati di tutta la Liguria.
La prima cosa che notiamo arrivati in loco, oltre al prestigioso complesso ovviamente, è l’enorme cipresso che vi svetta davanti: con un'altezza di 30 metri e con un età presunta di circa 600 anni, l'esemplare figura al quinto posto nell'elenco degli alberi monumentali più spettacolari della Liguria.
Una curiosità interessante che ci ha portati a compiere questa escursione è la posizione nella quale è stata edificata l’Abbazia che, non a caso, ripercorre esattamente una tappa della "Linea Sacra di San Michele“; ovvero la direzione immaginaria che collega, a partire dall’Irlanda sino a giungere in Terrasanta, diversi santuari e monasteri; i più famosi sono sicuramente Mont Saint Michel in Normandia, la Sacra di San Michele a Sant'Ambrogio di Torino ed il Santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant'Angelo sul Gargano. Questa linea, oltre ad indicare simbolicamente la rettitudine del credente in cammino verso Dio, coincide esattamente con l’allineamento del sole al tramonto nel solstizio d’estate.
La storia sulla fondazione dell'abbazia è ancor oggi in balia di diverse teorie, in assenza di date certe sugli avvenimenti storici che ne caratterizzarono la costruzione, ci possiamo basare solo su alcune testimonianze raccolte nei secoli: la prima vede come punto di partenza la riconversione di una fortezza Bizantina del VI secolo ad opera del re longobardo Liutprando, avvenuta tra il 712 ed il 714; la seconda teoria, invece, attesterebbe già la presenza di un nucleo monastico alle dipendenze dei monaci dell'abbazia di San Colombano di Bobbio, dal quale poi ottenne l'indipendenza. Certo è che a partire dal XII secolo l'Abbazia fu sottoposta alla giurisdizione del monastero di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia fino al successivo passaggio nel 1128 al vescovo di Genova. Sarà poi nel 1184, grazie ai conti Fieschi di Lavagna, che la chiesa otterrà il definitivo titolo di Abbazia. Attualmente la proprietà del complesso, dichiarato monumento nazionale nel 1910, è gestita dalla diocesi di Chiavari. Tra il 1950 e il 1958 la soprintendenza per i beni architettonici della Liguria ha attuato interventi di restauro che hanno permesso di riportare alla luce le originarie strutture medievali del complesso monastico. Scattate alcune foto per il nostro repertorio, usciamo dall'edificio e ci dirigiamo verso la strada asfaltata che conduce al parcheggio soprastante. Per mezzo di una scalinata in pietra segnalata da una palina verticale recante il segnavia A9, proseguiamo a sinistra, in direzione del piccolo cimitero. Oltrepassiamo un breve tratto che si snoda tra alcuni orti incontrando un paio di casolari abbandonati ed un piccolo guado su un rigagnolo.I terrazzamenti che discendono sino alla frazione di Borzone sono tutti avvolti dai classici colori autunnali che rendono ancor più affascinante la via. Tra pianori soleggiati e alcuni saliscendi in ombra, raggiungiamo nuovamente la strada asfaltata che percorreremo per circa 300 metri. Qui scendiamo per alcuni metri fino ad imboccare un sentiero sulla destra, che sale dolcemente attraversando un paio di vigneti. Giunti a questo punto, per mezzo di un falsopiano che attraversa la corte di due abitazioni, ci infiliamo nel bosco dove il sentiero è indicato solamente con due linee verticali rosse. Evitate due diramazioni sulla destra delimitate da dei cancelletti improvvisati, raggiungiamo località Case Bancora a circa 400 mt slm, dove il panorama si apre verso l’abitato di Borzonasca e il Monte Ramaceto.
Proseguendo su sterrato ignoriamo un primo bivio su asfalto, e continuiamo a prendere quota mantenendo la rotta verso Ovest, incontrando il piccolo abitato di Bancora, tra castagni e roveri. Raggiunto un tornante e contemplato il foliage che si posa sul selciato, ci ritroviamo sulla strada vicinale per Zolezzi dove dobbiamo prendere la sinistra; a destra si continua per Case Gaggi, ma non è la nostra meta.
Trascorsi 20 minuti di cammino incrociamo a lato della via una panchina ed un cartello riportante la scritta "Volto di Cristo Megalitico".
Ci guardiamo attorno e, alzato lo sguardo verso la sommità della Rocca di Borzone, ecco apparire la particolare formazione rocciosa con le sembianze del Redentore.
La particolare conformazione della roccia è stata interpretata come l’effigie di Cristo fin dall'antichità. Come tradizione vuole, si tratterebbe appunto di un voto realizzato dai monaci Benedettini di Borzone per consacrare l’avvenuta cristianizzazione di tutta la vallata. In questo modo si è andati a collocare la sua realizzazione nell'Alto Medioevo.
A suffragio di quest’ipotesi vi è una leggenda secondo la quale, una volta all’anno, gli abitanti della valle usavano radunarsi al cospetto della scultura per venerare e ringraziare il Signore.
Analizzando più attentamente il megalite però, le ipotesi sulla sua creazione sono ancora controverse. Alcuni recenti studi tendono a far risalire il disegno ad un tempo molto più remoto, in particolare al Paleolitico superiore che daterebbe l’incisione rupestre tra il 20.000 e il 12.000 a.C. Una bella differenza non credete? Ma se vige incertezza sulla sua datazione, figuriamoci su ciò che per davvero è raffigurato, aprendo dibattiti su un paio di particolari: si discute, per esempio, sulla presenza di una folta chioma oppure di uno strano copricapo. Ci si chiede se si tratti davvero di un uomo o se è in realtà si parla di un volto femminile. Va da sè che se collocassimo il volto al Paleolitico, potremmo trovarci davanti all'incisione rupestre più importante d’Europa e probabilmente la più grande del mondo.
In questo caso però la raffigurazione avrebbe come soggetto una divinità? Inoltre recentemente, ci racconta una signora incontrata proprio sulla panchina in mira al volto, una studiosa locale ha asserito che in realtà le facce siano due! In effetti anche a noi sembra di scorgerne una seconda ma non ci interessa in questa sede svelare l'arcano perciò lasciamo inalterato l'alone di mistero che aleggia sulla roccia e proseguiamo fino a raggiungere il nucleo abitativo di Zolezzi, piccolissima frazione di Borzonasca. In questa borgata segnaliamo la presenza della Cappella di Zolezzi dedicata alla Madonna della Neve purtroppo aperta solo nella ricorrenza; dal suo sagrato la vista sulla vallata è davvero molto suggestiva e appagante, vale la pena affrontare le due rampe di scale per raggiungerlo. Attorno a noi tanti alberi di ciliegio contribuiscono a diversificare le varietà arboree incontrate fino ad ora. Discendiamo così dalla parte opposta della chiesetta e continuiamo il cammino fino "alla colletta", dove un cartello ci dà il benvenuto.
A partire da questo punto in poi ritorniamo dentro al bosco, il più selvaggio incontrato sino a qui. Il primo tratto lo percorriamo in discesa, prestando attenzione al terreno sconnesso, per continuare in piano sino al raggiungimento di un importante guado.
A causa delle recenti piogge e la conseguente piena del torrente, la traversata non è certo semplice e finiamo inevitabilmente per bagnarci le scarpe.
Arrivati sino a qui non potevamo fare diversamente. Occorrerà superare ancora un ponte di legno prima di incrociare l'ultimo bivio della giornata. Verso sinistra si procede in direzione Pratosopralacroce, ma la via attualmente risulta essere impervia a causa di una frana mentre, sulla nostra destra, in direzione Vallepiana, troviamo il nostro prosieguo.
Il percorso, pressoché pianeggiante, costeggia alcune splendide cascatelle e, in breve, ci conduce nei pressi di una leggera salita tra i pini.
Quando si arriva in questo punto ci si sente pervadere da un'aura magica, l'energia presente nell'aria la si percepisce, per davvero, con forte intensità. Ecco davanti a noi palesarsi una chiesa nel bel mezzo del bosco, corpo e campanile sono in rovina e ricoperti dall'edera ma mantengono una fierezza aristocratica, una nobiltà d'animo che immaginiamo abbia caratterizzato anche chi ha sudato per costruire un tempio dello spirito quassù.
San Martino di Licciorno, questo il suo nome, è un’antica chiesa costruita in quella che già ai tempi delle prime tribù liguri era considerata un’importante via di comunicazione.
Dipendente dalla vicina Abbazia di Borzone, l’antichissima chiesa romanica venne eretta nell’XI Secolo dagli stessi Benedettini, eleggendola a parrocchiale per lungo periodo.
Trattandosi quindi di una fondazione di regola monastica, i sacerdoti che gestivano la pieve erano tenuti a offrire ospitalità a viandanti e pellegrini.
Tenuto conto di questa caratteristica, con molta probabilità, nelle immediate vicinanze, potevano trovarsi strutture dedicate al ricovero, ora scomparse.
Tra le documentazioni ritrovate e risalenti al 1700 circa veniva menzionata la presenza di un piccolo cimitero, in grado di alimentare nel tempo la leggenda che grava sul sito.
Protagonista di questa storia popolare fu una signora di Zolezzi che volle in prima persona sfatare il mistero dei fuochi fatui (fiammelle di luce visibili presso le aree cimiteriali che nell'antichità venivano ritenute dimostrazione dell’esistenza dell’anima). Ritenendo fosse follia avvicinarsi a un cimitero dopo il tramonto, il coraggio dimostrato dalla donna attirò l'attenzione dei suoi compaesani, che attesero il suo ritorno dopo averla vista recarsi nel cimitero di San Martino da sola per passarvi la notte.
Fu proprio durante quella sera che avvenne la disgrazia tanto temuta: la signora, che aveva portato con sè un fuso ed una rocca per filare la lana, si sentì tirare la gonna verso terra.
Una figura emerse da una tomba nel tentativo di portarla nella sua stessa fossa e la poveretta non resse allo spavento.
La mattina seguente, chi andò a verificare l’esito della sua sfida, ebbe un’amara sorpresa e la conferma di tutte le peggiori ipotesi formulate fino ad allora, trovandola morta nel camposanto, con il fuso impigliato nella gonna, ben conficcato per terra, vicino ad una tomba.
Fu la suggestione causata da un maldestro incidente?
Fu per davvero un'anima a chiamare la donna all'altro mondo?
Noi non lo sapremo mai ma mentre la Vale è ferma a contemplare l'energia della zona io mi sono già messo al sicuro!
Nel XV secolo, la pieve di San Martino cedette il titolo di parrocchiale alla chiesa di Nostra Signora Assunta di Prato-Sopralacroce, e venne utilizzata solo per particolari festività. Nel XIX Secolo venne definitivamente abbandonata al suo destino, rendendola ciò che è divenuta oggi: ovvero uno dei più suggestivi ruderi sacri presenti in Liguria, capace di rendere una semplice escursione una magica esperienza.
Finito il giro attorno al sito, torniamo al bivio lasciato in precedenza e ci incamminiamo in direzione Sopralacroce sino a raggiungere il beudo agricolo poco distante; calcolate 10 minuti aggiuntivi al percorso. In questo tratto si trova un interessante porzione di beo che attraversa un rio su di un antico ponte in pietra ben conservato; sopra di esso vi si trovano tre sbalzi d'acqua a cascatella, che contribuiscono a rendere il tutto più emozionante e caratteristico.
Proprio qui avviene il nostro giro di boa, purtroppo non ad anello come piace a noi ma, adattandoci alla conformità del territorio, ritorniamo a Borzone esattamente seguendo il sentiero che ci ha condotti sino a qui, per terminare la trekkinata in circa tre ore e mezza di cammino.

Route in numbers

h 3:20

Travel time

10,50 Km

Path Length

320 mt

Difference in altitude

Gallery Path

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